sabato 6 ottobre 2012

Barcellona-Real Madrid: molto più di un Clasico




Barcellona – Real Madrid non è mai stata una partita come le altre. Ma quella di domenica è il “Clasico” più carico di significati dal 1975, quando il Real Madrid arrivò al Camp Nou un mese dopo la morte di Francisco Franco.

Dopo la Guerra civile spagnola la lingua e la bandiera catalana furono abolite e alle società di calcio fu proibito di usare nomi non spagnoli. Queste misure indussero il club a cambiare denominazione in Club de Fútbol Barcelona e a rimuovere due delle quattro barre rosse dello stemma. Il Camp Nou restava l'unico luogo in cui si poteva inneggiare alla libertà della Catalogna senza incorrere nelle manganellate della Guardia Civil. Ma fino a quella partita del 1975 all'interno del Camp Nou tutti gli annunci pubblici sono fatti in castigliano. Nel primo Clasico post-franchista gli annunci e le scritte sui maxi schermi, introdotti per la prima volta in occasione di quell'incontro, saranno in catalano.


Clasico e politica
Durante la dittatura franchista, il Real è considerato la squadra del regime mentre il Barcellona èvisto come il simbolo della rivoluzione, della resistenza, del sangue anarchico e separatista. Entrambi i club soffrono, però, nel corso della Guerra civile. Il presidente del Barcellona Josep Sunyol finisce assassinato, mentre il presidente del Real Madrid Rafael Sánchez Guerra, un eminente repubblicano, è imprigionato e torturato. In più il Barcellona vince cinque volte la Liga e quattro coppe del Generalissimo nel periodo più cupo del franchismo, tra il 1939 e il 1954. Poi il Real diventa davvero “Real” ma soprattutto per merito di Santiago Bernabeu e di Alfredo Di Stefano, conteso da Real e Barcellona. La Federazione internazionale impone che giochi due anni da una parte e due anni dall' altra, ma il club blaugrana s' accontenta di un indennizzo.

Oggi il Barcellona è più che mai “mes que un club”, più di un club, come recita il suo slogan. È una bandiera identitaria, tanto che il presidente Sandro Rosell ha partecipato, lo scorso 11 settembre, festa nazionale catalana, a una marcia con un milione e mezzo di persone e ha detto: “La squadra resterà fedele alla sua storia”. Già a inizio stagione aveva deciso che la seconda maglia sarebbe stata con i colori della “senyera”, la bandiera catalana a strisce gialle e rosse e aveva dichiarato: “Il giorno che la Catalogna deciderà per l'indipendenza, il Barça sarà al suo fianco”. E al fianco del Barcellona e degli autonomisti catalani si è aggiunto Pep Guardiola che ha comunicato il suo appoggio dal buen retiro di New York dove sta trascorrendo un anno sabbatico.

La Catalogna: un discorso sospeso
La Catalogna rimane indipendente fino all'11 settembre 1714 quando cade, al termine di un assedio durato 14 mesi, contro l'esercito franco-spagnolo di Filippo V di Borbone. La capitolazione definitiva della regione nella guerra di Successione segna la sconfitta dell'Austria (con cui si erano alleate la Catalogna e la Corona d'Aragona) e determina la fine dei privilegi della Catalogna. Filippo V, infatti, abolisce tutti i privilegi locali, compreso l'uso della lingua e del diritto civile della regione. Durante il clasico, dopo 17 minuti e 14 secondi di ciascuno dei due tempi si faranno nuovamente sentire i cori per l'”Independencia”. Ma perché questo Clasico sarà diverso e più politicizzato degli altri? La risposta arriva da un articolo di Federica Bianchi sull'Espresso.

Artur Mas, leader di Convergència i Unió, fino a un mese fa il partito di centrodestra della buona borghesia catalana, (...) si è trasformato nel miglior surfista della regione. Forte dell’appoggio assoluto
del mentore Jordi Pujol - classe 1930, fondatore di Convergencia, per vent’anni leader della Catalogna, oggi rappresentante leggendario dell’orgoglio catalano - e del figlio Oriol Puriol, segretario del partito, il mite ma solido Mas ha deciso di cavalcare l’onda indipendentista. (…) «Ci siamo resi conto che i catalani sono pronti a reclamare la propria nazione», spiega a “l’Espresso” Francesco Homs, amico di sempre di Mas, considerato dalla stampa catalana l’eminenza grigia del partito: «È come in un divorzio, dopo l’ennesima promessa non mantenuta, la moglie fa le valige, e non importa quanti fiori le porti il marito e quante volte le ripeta che questa volta cambierà. Non tornerà indietro».
In questo caso l’ultima promessa ha a che vedere con il “pacto fiscal”, un accordo fiscale con il governo centrale più favorevole alla Catalogna - una regione che a differenza dei Paesi Baschi non raccoglie autonomamente le proprie tasse - promesso da Mas durante la campagna elettorale ma rifiutato nettamente a settembre da una Madrid sempre più soffocata dalla crisi economica. E prima ancora c’era stato il tradimento sul nuovo Statuto, ampliato in senso nazionalista nel 2006 con l’accordo dell’allora premier socialista, approvato dalla popolazione catalana, infine respinto dalla Corte costituzionale nel 2010 dopo il ricorso del partito popolare.

Con la disoccupazione sopra il 20%, un deficit locale intorno al 5 e un debito regionale di 40 miliardi, la Catalogna vive male la crisi e soprattutto si sente derubata delle proprie risorse dal governo di Madrid che trattiene oltre 16 miliardi di euro del Pil della regione (l’8,4 per cento) per finanziare le altre regioni. Per non fallire, la locomotiva di Spagna ha dovuto chiedere 5 milioni di euro subito al governo. Anche per questo, circa il 55% dei catalani sono favorevoli all'indipendenza (sondaggio La Vanguardia), una percentuale rimasta per trent'anni al di sotto del 50%.

Il calcio e la crisi
La Liga, scrive Cristiano Vella sul Fatto Quotidiano deve al fisco 489 milioni di euro. Aggiungendo i debiti delle squadre che militano nelle serie inferiori, si raggiungono i 752 milioni. Sembra però che in questa somma non rientrino i debiti con la previdenza sociale per cui sono finite in amministrazione controllata Saragozza e Rayo Vallecano.

I debiti delle società di calcio sono la causa principale della crisi di sistema che ha colpito le banche spagnole. Dei 5 miliardi di debiti complessivi, infatti, quattro sono verso gli istituti di credito che hanno finanziato le ricapitalizzazioni, coperto i buchi e aiutato i club nell’acquisto di calciatori. Lo scorso agosto, ad esempio, il presidente del Barcellona Rosell ha chiesto un ennesimo finanziamento per la campagna acquisti a Bankia, istituto nato due anni fa dalla fusione di sette banche, travolto dal peso dei subprime spazzatura e parzialmente nazionalizzato a maggio con un buco dichiarato di 19 miliardi

Nel 2009 il Real Madrid psi era rivolto a Caja Madrid (che poi confluirà in Bankia partecipò alla costruzione di Bankia) per un prestito a basso tasso di interesse per acquistare Cristiano Ronaldo (90 milioni) e Kaka (65 milioni), favoriti anche dall'aliquota fissa per i giocatori stranieri al 24%, voluta dal governo Zapatero. Nell'agosto 2011, scrive Luca Pisapia sul Fatto, la stessa Bankia, al momento di chiedere un prestito alla BCE ha utilizzato come garanzie delle obbligazioni emesse attraverso un fondo che aveva a sua volta come garanzia i prestiti a una serie di imprese tra cui il Real Madrid. In pratica ha utilizzato Ronaldo e Kaka come delle specie di ‘bond’.

Anche per questo, Barcellona-Real Madrid non sarà una partita come le altre.

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