Felix Sanchez è tornato Super Felix.
Le sue lacrime, la foto della nonna baciata sulla pista dopo l’arrivo
hanno commosso il mondo. Il dominicano è tornato sul gradino più
alto di un podio olimpico otto anni dopo Atene. Allora, Sanchez era
semplicemente imbattibile. Non perdeva una gara dei 400 ostacoli dal
luglio 2001. Quella olimpica è la 43ma vittoria di fila, una serie
comunque lontanissima dai 122 successi consecutivi di Edwin Moses.
Erano così arrivati due titoli mondiali, a Edmonton e Parigi. Resta
memorabile lo sprint sull’amico Fabrizio Mori che gli ha dato il
primo titolo iridato. Sanchez chiude in 47”49 e vince per soli
cinque centesimi. All’azzurro non basta migliorare di 18 centesimi
il tempo che l’aveva portato all’oro a Siviglia due anni prima.
Eppure la sua prima esperienza con la
pista è tutt’altro che felice.
Sanchez inizia a praticare
baseball, ma a metà stagione cambia scuola e, su suggerimento di un
amico, prova la lotta ma si rompe un polso mentre il coach tenta di
insegnargli qualche nuova mossa. Non può fare il provino per la
squadra di baseball e allora prova con l’atletica. Il primo
approccio è con la staffetta, ma corre 100 metri in 13”01, più
lento anche di una ragazza.
Ma i 400 ostacoli sono una gara
diversa, non fatta solo di velocità, ma di concentrazione, di
misurazione dei passi, 13 o 14 tra un ostacolo e l’altro, di
distribuzione delle energie. Ed è qui che Felix diventa imbattibile.
Un’intera nazione lo adora. Ma
Sanchez è nato a New York e ha iniziato a correre per la nazione dei
suoi genitori nel 1999, dopo essere arrivato sesto ai trials Usa. Chi
lo accusa di aver fatto una semplice scelta di convenienza, però, si
sbaglia.
Da bambino passa la maggior parte del
tempo con la mamma e con a nonna che gli trasmettono la cultura
dominicana. Non ha modo di condividerla troppo, però, perché non
c’è una grande comunità dominicana sulla West Coast e la famiglia
torna nel Paese d’origine solo per le vacanze.
È già dal 1996, un anno dopo aver
scelto l’atletica come il suo sport, che Sanchez prova a correre
per la Repubblica Dominicana, che allora aveva un tasso di crescita
tra i maggiori dell’America Latina, ma sta ora attraversando una
grave crisi economica. Super Felix racconta quei primi anni in
un’intervista del 2003. “Ho sempre voluto gareggiare per la
Repubblica Dominicana. Ma allora praticamente non esisteva per
l’atletica. Non c’erano numeri da contattare, nessuno da
chiamare, nessuna federazione. Non c’era modo di prendere contatti
con loro. Perciò continuavo a correre e a desiderare di
rappresentare la Repubblica Dominicana prima o poi, in qualche modo”.
L’opportunità arriva nel 1999. “Un
giornalista de La Opininion scrisse un articolo su di me perché in
un meeting universitario avevo battuto un record che resisteva da 23
anni. Mi chiese se avrei partecipato alle Olimpiadi del 2000.
Risposi: ‘Certo’. Gli dissi anche che avrei provato a correre per
la Repubblica Dominicana. E lui disse: ‘Davvero? Vediamo che posso
fare’. Prese contatto con Manny Mota, che cercava giocatori
dominicani di baseball per i Dodgers. Quando ho fatto gli US
Nationals, finendo sesto, non avevo ancora avuto risposte. Una
settimana dopo il mio coach mi ha chiamato dicendomi che qualcuno
della Repubblica Dominicana voleva incontrarmi. Mi chiesero se volevo
andare, come dominicano, ai Giochi Panamericani. Ero felice. Corsi in
48.8 e 48.6. Se avessi fatto gli stessi tempi ai trials, sarei
entrato nella squadra Usa. Niente accade per caso”.
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