“Siamo un Paese
piccolo, che ha una storia molto ricca e abbiamo bisogno di
dimostrare, nonostante le dimensioni, di essere ad alti livelli e di
poter competere con i Paesi più grandi e famosi. È la
caratteristica di noi croati”. Parola di Ratko Rudić, che ha appena
portato la Croazia all’oro olimpico contro l’Italia dell’allievo
Sandro Campagna, capace di battere i maestro un anno fa ai Mondiali
di Shanghai. “Ci piace essere competitivi ed esprimere un gioco
interessante e tecnico”. Anche la guerra ha influito, secondo il
tecnico che ha portato la pallanuoto nell’era moderna. “Fa parte
dell' orgoglio croato la voglia di indipendenza. E questo aiuta a
identificarsi con la maglia della nazionale”.
La guerra è entrata
anche nella vita di Rudić, che si è costruito una fama di “sergente
di ferro” che non corrisponde del tutto alla verità. Suo padre era
militare: Ratko è nato a Belgrado ma ha vissuto tra Zara, Zagabria e
Spalato. Qui passa un’adolescenza felice, che ha raccontato a
Corrado Sanucci di Repubblica nel 1995. “Tornavamo tardi la notte,
mentre i netturbini lavavano le strade e noi facevamo le scommesse.
Bendavamo qualcuno, gli facevamo traversare la piazza, che aveva il
fondo un po' sconnesso e in dislivello, doveva imbucare una porticina
dall’altra parte”.
A Spalato gioca per lo
Jadran, club fondato nel 1920 con il nome di Pomorskog klub Balun,
che cambiò nome l’anno dopo aver vinto il campionato
jugoslavo, nel 1924. Il Jadran vincerà altri sei titoli dalla
fine della seconda guerra mondiale e conquisterà due Coppe dei
Campioni nel 1992 e 1993. Il Jadran ha una fortissima rivalità con
il Mornar, fondato nel 1949 con il nome di Plivačko-vaterpolski
klub Mornar, capace di vincere quattro scudetti tra il 1950 e il 1961
e la Coppa Coppe del 1987 in finale sul Catalunya.
Spalato, prosegue Rudić,
“era la città più sportiva della Jugoslavia, ricordo Skansi, il
cestista, che anche lui giocava a pallanuoto, c’erano Pilic e
Franulovic che giocavano a tennis. Cercavamo più democrazia, si
sentiva nell’aria che ci sarebbe stato qualcosa, ma mai avremmo
pensato che si potesse arrivare ai massacri, c’è una bella
differenza tra la voglia di autonomia e un massacro e non so come ci
si sia arrivati”.
A Zagabria, dopo il
liceo, si iscrive ad architettura e passa anche un esame prima di
farsi travolgere dalla vita di giocatore che lo porta al Partizan con
cui vince sette scudetti e due coppe Campioni. Gli resta però la
passione per la pittura, soprattutto Dalì e Hyeronimus Bosch,
pittore olandese della seconda metà del Quattrocento che ha messo in
scena la libertàconcessa da Dio all'uomo, la sua caduta nel vizio e
il destino infernale che attende i peccatori. “Bosch evoca un male
immateriale, un principio di ordine spirituale che deforma la
materia, un dinamismo che agisce in senso contrario a quello della
natura” ha scritto il critico van de Bossche. Anche per questo
Michael Connelly ha scelto di dare il suo nome al poliziotto
protagonista di tanti suoi romanzi di successo, da “La memoria del
topo” a “Il poeta”. Proprio un quadro di Bosch, “Il trittico
del giardino delle delizie” è al centro delle indagini che
coinvolgono anche l’altro personaggio simbolo di Connelly, Terry
McCaleb.
È un pittore di ombre,
Bosch, le cui opere non possono lasciare indifferenti. Così come Rudić, coach che divide, coach di passione e di passioni. “allenare
dà la stessa sensazione che hai davanti alla tela bianca, è un
processo creativo, c'è un programma da riempire e lo devi fare con
qualcosa che hai dentro di te. Fatto bene questo, se i giocatori
entrano insieme a te nel quadro, il risultato viene comunque. Per me
i soldi non hanno alcuna influenza, io non ho il sentimento di '
essere pagato' : lavoro per autoriconoscermi, perché anche la
nazionale è una creazione mia”. La sua più bella creazione,
almeno per noi italiani, rimane la nazionale che ha saputo portare
all’ultimo oro olimpico alla piscina Picornell di Barcellona.
Rudić e l’Italia
Nel 1986 la
Jugoslavia di Rudić batte l’Italia nella finale dei campionati
mondiali. Si gioca a Madrid e servono quattro tempi supplementari per
fissare il 12-11 finale. Quattro anni dopo Rudic arriva in Italia nel
1990 al posto dell’esonerato Fritz Dennerlein. Con la nazionale
jugoslava ha vinto anche due olimpiadi, nel 1984 e 1988 e un europeo.
Nel 1992 sarà
ancora la Spagna il teatro di un’impresa destinata a riscrivere la
storia. A Barcellona, dopo sei tempi supplementari nasce il
Settebello. L’Italia dell’organizzazione e dei muscoli supera la
Spagna dell’estro di Manuel Estiarte sotto gli occhi di re Juan
Carlos. È Gandolfi a segnare il gol del 9-8 e dare all’Italia
l’ultimo oro delle Olimpiadi del 1992. Ma riviviamo quei 46 minuti
di gioco effettivo.
Il miracolo di Barcellona
L’Italia parte
forte. Fiorillo per Ferretti, sinistro e 1-0. Così si chiude il
primo periodo. Poi Caldarella raddoppia beffando Rollán sul primo
palo prima della rete di Estiarte. L’Italia difende e contrattacca.
La Spagna tira poco e male, l’Italia invece in attacco è perfetta.
Campagna dalla distanza fa 3-1 e la palombella di Ferretti porta gli
azzurri al +3. Il centroboa Salvador Gómez fissa il punteggio sul
4-2 all’intervallo lungo.
Alla ripresa Pedro
García riporta sotto la Spagna (3-4) ma l’Italia allunga ancora
grazie al rigore di Campagna e al secondo gol di Caldarella. Gli
arbitri, l’olandese van Dorp e il cubano Martinez, aiutano gli
spagnoli, che si riportano a un solo gol di distacco con la doppietta
di García che prima segna dai 4 metri poi supera Attolico in uscita.
Ferretti sigla il
7-5 con l’uomo in più ma Estiarte, dopo aver sbagliato un rigore,
segna il 7-6 prima che Oca sorprenda Attolico. È l’aggancio. È il
7-7 che vuol dire tempi supplementari, che vuol dire storia. Fiorillo
si fa espellere per un pugno a Estiarte. Il capitano ha la palla
della vittoria a 42 secondi dalla fine del secondo mini-tempo da tre
minuti. Tira un rigore nell’angolo alto a sinistra e sorprende
Attolico. Primo vantaggio Spagna. L’allenatore iberico Matutinović,
che aveva guidato il Mornar alla vittoria in Coppa Coppe sul
Catalunya, chiede ai suoi di pressare in difesa. Ma Bovo riesce a
pescare Ferretti che insacca sul primo palo: 8-8. Si va avanti.
Tre
tempi supplementari iniziano e finiscono senza gol finché Gandolfi,
servito da Ferretti, la mette sotto le braccia di Rollán. 9-8 Italia
a 32 secondi dalla fine del sesto supplementare. Sono 32 secondi di
lotta. A 4 dalla fine, Estiarte subisce fallo, poi serve Oca che
tira: traversa piena. L’Italia vince il terzo titolo olimpico della
sua storia dopo Londra 1948 e Roma 1960 e lo festeggia con il tuffo
d’ordinanza. Anche Rudic si getta in piscina. Capitan Fiorillo, in
conferenza stampa, dichiara: “Rudić è lo stesso tecnico
che, quando stava dall’altra parte, ci faceva uscire dall’acqua
distrutti perché avevamo perso. Adesso è dalla nostra parte, non è
una differenza piccola”.
In un anno, il Settebello aggiunge al
titolo olimpico la Coppa Fina, i Giochi del Mediterraneo e i
Campionati europei di Sheffield del 1993 (secondo titolo continentale
dopo quello del 1947). Il 1993 è anche l’anno della morte di Paolo
Caldarella, che con Ferretti componeva la coppia di centroboa più
forte del mondo. È morto in un incidente di moto, travolto da un
furgone sulla Floridia-Siracusa.
Nel 1994 aggiunge anche un titolo
mondiale, di nuovo in finale contro la Spagna (10-5). Gli iberici
conquistano il primo possesso, ma la partita si sblocca solo per
l’espulsione contemporanea di Campagna e Gandolfi. Segna Oca, ma
gli azzurri pareggiano in superiorità con una deviazione volante di
capitan Fiorillo. Sono le espulsione a determinare l’andamento del
punteggio in avvio. Senza García,
la Spagna subisce la rete di Calcaterra. Francesco Porzio trova il
sette e allunga, ma Ballart riporta sotto la Spagna: 3-2 Italia alla
fine del primo periodo.
L’Italia si conferma infallibile con
l’uomo in più e Silipo fa centro due volte su due. L’Italia
difende alla grande, Estiarte è nullo. La Spagna non può giocare in
velocità e Campagna punisce ancora da fuori. All’intervallo è 7-2
Italia. García interrompe il
break azzurro (4-0) ma Francesco Porzio su rigore (per fallo di
Ballart) riporta il Settebello al +5. Va in gol Ferretti prima della
rete di Marcos e della splendida parata di Attolico che vanifica il
pallonetto di Ballart. L’Italia conduce 9-4 alla fine del terzo
periodo. Il quarto è solo il preludio della festa con i due rigori
di Campagna e Estiarte.
Rudić vince una grande scommessa a
Vienna, agli europei del 1995. Saluta Fiorillo, i due Porzio,
Campagna, Averaimo, Ferretti, Gandolfi e D’Altrui. Regala la prima
esperienza ad alto livello a Angelini, Bencivenga, Alessandro
Calcaterra, Gerini, Ghibellini, Giustolisi, Petronelli, Postiglione,
Sottani e Temellini. Eppure riesce a confermare il titolo
continentale battendo in finale l’Ungheria 10-8 in un’edizione
che vedrà il primo successo del Setterosa di Formiconi (7-5 in
finale alle magiare).
Da qui però iniziano le tensioni, le
difficoltà. Arrivano le sconfitte. Il bronzo di Atlanta 1996, i
quarti agli Europei di Siviglia e il quinto posto ai Mondiali di
Perth. Fino all’uscita polemica ai Giochi di Sydney. Le accuse agli
arbitri, la squalifica di un anno dalla Fina per aver gettato
discredito sulla pallanuoto. Una sospensione che porta all’esonero.
Ha iniziato il 22 dicembre 1990, con la prima panchina proprio contro
la Spagna (9-9), ha chiuso il 29 settembre del 2000 contro
l’Ungheria. E proprio contro l’Ungheria inizia l’era Campagna,
a Zagabria, nella città dei genitori di Rudić, nella Final Four
della Euro League.
Rudić cerca nuove scommesse da vincere,
prima in Usa poi nella sua Croazia. Nuovi sentieri per dimostrare di
poter competere ad alti livelli. In fondo, i croati sono fatti così.
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